Watercollapse, Bologna 2002 - presentazione di

Valerio Grimaldi 

Non  è con una lettura superficiale - o facendosi incantare dalla calibrata sinfonia del colore di questi paesaggi della memoria - che si metabolizza il fare arte di Giovanni Garasto. Certo è  che, ad una prima lettura, si rileva immediatamente la raffinata filigrana e la indubbia qualità pittorica di un artista attrezzato e consolidato, di un artista senza approssimazioni, in cui nulla è casuale, di un artista giunto ad una sua piena maturità  anche se questa sarà probabilmente solo una stazione di un percorso passibile di profonde e radicali mutazioni.

E’, comunque, un percorso irto di trappole quello che porta al centro della sua ricerca pittorica. L’artista le semina consapevolmente in una sospensione di vertigine continua, accarezzata, distillata in turbolenze di colori filtrati e rappresi, in preziose palpitazioni di azzurri e di terre, in strappi improvvisi che si fanno segno, ferita, segnale, presenza.

Non ci si faccia ingannare dalla suggestiva, lievitante capacità evocativa che la magia del suo colore si porta dentro. Nessuna compiacenza, infatti, chiude il cerchio e completa l’opera  in appannaggi di epidermica gradevolezza. Il gradiente cromatico non concede nulla sino a divenire metafisico al limite della scrittura poetica.

L’urgenza che nell’artista si riscontra di titolare con fredda e programmata determinazione  le opere rende esponenzialmente bivalente l’opera stessa: da una parte il rifiuto di una collocazione nei puri territori informali, nella pittura di emozione, nella discesa e nella segmentazione del vissuto, dall’altra un rarefatto, cerebrale, puntiglioso, calibrato dipanarsi di successioni, vortici, di pezzature cromatiche dai dolci incanti atonali.

In questo condensato di topografie dell’anima e della mente, negli echi di inquiete omologazioni, nelle turbolenze concettuali che di tanto in tanto affiorano quasi icone recuperate dalle stanza della memoria, Giovanni Garasto svolge il suo tema della teatralità mimetica, ludica e ancestrale del colore. E’ un cortocircuito permanente, un collasso provocato, uno slalom parallelo tra emozione e codice creativo quello che l’artista mette in atto nella continuità e nella coerenza di quella che lui stesso definisce operazione cartografica virtuale in cui strato si sovrappone a strato.

Ecco allora che il canto delle sirene, l’incantamento, la preziosa caratura delle cromìe restano la tensione entro cui collocare un ben più ampio contesto concettuale che ogni tanto si fa immagine, stilema, icona di presenze possibili.

E’ il passaggio dalla pura pittura al racconto. Nella incontenibile, aerea leggerezza di cieli improbabili e di fisicità terragne e ambragite si apre la voracità di uno spazio nuovo, distaccato e distante, misterioso, cosmico dove vivere tra la dimensione visibile della favola e la virtualità di un nuovo inconscio collettivo.  

 

 

 

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